Roberto BUGINI* e Luisa FOLLI
*Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali - sezione Gino Bozza
via Cozzi 53 - 20125 Milano
posta: r.bugini@icvbc.cnr.it
La città di Milano, capitale del Ducato omonimo e lontana dalle aree di cava, fu in grado di rifornirsi di pietre naturali da diverse zone grazie alla presenza di laghi e fiumi e allo scavo di opportuni canali, i quali consentirono un più facile trasporto ai cantieri. Riguardo alle zone di approvvigionamento, è necessario considerare che fino al 1797 l'attuale territorio lombardo era diviso fra il Ducato di Milano (settore ad occidente del corso dei fiumi Adda e Oglio) e la Repubblica di Venezia (settore ad oriente). Tale divisione influì quindi sulla disponibilità e sull'uso di determinati materiali lapidei anche nella città di Milano. L'unità territoriale fu raggiunta solo nel 1797 con la Repubblica Cisalpina e si mantenne poi con il regno Lombardo-Veneto. La Val d'Ossola, infine, fece parte del Ducato di Milano fino al 1748. Una ricerca sui materiali lapidei tradizionali milanesi richiede uno studio relativo alla natura geologica, alle caratteristiche mineralogico-petrografiche, all'identificazione degli edifici in cui sono stati impiegati, allo sviluppo cronologico di tale impiego, alle forme di degrado legate alla composizione ed alla struttura. Tutto questo va quindi riferito alle aree storiche di cava presenti nel territorio. Questa ricerca è necessaria per la conoscenza della storia dei materiali da costruzione e della storia dell'architettura e risulta molto utile ai fini della conservazione dei beni monumentali. Tuttavia, questo tipo di ricerca, che unisce geologia ed architettura, è stato per lungo tempo trascurato sia dai geologi, interessati principalmente alla litologia e alla stratigrafia, sia dagli architetti, interessati alle tipologie costruttive e agli stili architettonici. Le pietre lombarde e il loro utilizzo in architettura furono descritte in maniera diretta dal già citato Scamozzi, poi gli studi di Breislak, di Curioni, di Jervis o di Salmoiraghi nel XIX secolo ebbero una base scientifica; anche in seguito l'interesse per tale argomento è stato limitato agli aspetti commerciali come nei testi della Federazione fascista degli Esercenti le industrie estrattive del 1939. Solo dopo il 1955 furono pubblicati studi rilevanti come quelli di Fagnani e di Rodolico.
Nel nostro caso si tenta di riassumere quanto emerso da venticinque anni di studi dedicati, dall'Istituto per la conservazione e la valorizzazione dei Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche, alla conservazione del patrimonio architettonico milanese.
2. GEOLOGIA
La città di Milano giace nella piana alluvionale del Po e dei suoi affluenti. Nel territorio montuoso (Alpi Lepontine, Retiche e Orobie) e collinoso (Prealpi) della regione, sono ben rappresentati diversi tipi di rocce magmatiche (granito, granodiorite), sedimentarie (calcare, dolomia, arenaria, conglomerato) o metamorfiche (marmo, gneiss). I depositi alluvionali furono utilizzati per fabbricare i laterizi (argille) e le malte (ghiaie e sabbie); le formazioni calcareo-dolomitiche delle Prealpi fornirono la materia prima per produrre le calci e i cementi.
Si possono distinguere sei aree principali interessate, fino al XX secolo, dalla produzione di materiali lapidei utilizzati nell'architettura milanese: 1. Val d'Ossola; 2. Lago Maggiore; 3. Val Ceresio; 4. Brianza; 5. Lago di Como; 6. Gole dell'Adda e del Brembo.
3. PROPRIETÀ DELLE PIETRE
Sono stati analizzati campioni di pietra provenienti da edifici e dalle cave sia mediante microscopia ottica su sezioni sottili che per diffrattometria ai raggi X su polveri. Per ciascun litotipo si riportano dati caratteristici sia petrografici che costruttivi; per quanto riguarda le dimensioni massime dei blocchi si fa riferimento a dati storici (XIX secolo).
1. VAL D'OSSOLA
1a. BAVENO
Granito, grana media, colore rosa o bianco con punti neri. Composizione: quarzo, ortoclasio, plagioclasio, biotite. Geologia: corpo magmatico (Graniti dei laghi, plutonismo ercinico) intruso nella serie di rocce metamorfiche dei Laghi (gneiss e micascisti). Cave: nella parte Nord del Mottarone presso la sponda del lago Maggiore. Dimensioni massime ottenibili: monoliti fino a 13 metri. Utilizzi: conci per edilizia, fusti di colonna e pilastri monolitici. Degrado: scagliatura causata da cristallizzazione di sali.
1b. MONTORFANO
Granito, grana media, colore bianco o grigiastro con punti neri. Composizione: quarzo , ortoclasio, plagioclasio, biotite. Geologia: corpo magmatico (Graniti dei laghi, plutonismo ercinico) che forma il monte Montorfano presso la foce del fiume Toce. Cave: versante Sud del Montorfano. Dimensioni, utilizzi: come granito di Baveno. Degrado: scagliatura causata da cristallizzazione di sali, macchie rugginose per ossidazione.
1c. CANDOGLIA
Marmo, grana media, colore bianco o rosa con vene scure parallele. Composizione: principalmente calcite, rari quarzo, muscovite e pirite. Geologia: lenti marmoree orientate da nord-est a sud-ovest, intercalate da metapeliti e rocce basiche della zona Ivrea-Verbano. Cave: sul versante montuoso, in riva sinistra del fiume Toce. Dimensioni massime: 2 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, piccoli fusti, elementi ornamentali. Degrado: erosione e dissoluzione del carbonato di calcio e alterazione del profilo superficiale nelle zone esposte al dilavamento delle piogge; macchia, formazione di croste (solfato di calcio).
1d. ORNAVASSO (Rosa Val Toce - Grigio Boden)
Marmo, grana piccola, colore rosa con vene parallele nerastre o grigio. Composizione: principalmente calcite, rari quarzo, muscovite e pirite. Geologia: come per Candoglia. Cave: sul versante montuoso, in riva destra del fiume Toce. Dimensioni, utilizzi e degrado come per Candoglia.
1e. CREVOLA
Marmo, grana medio fine, colore grigio, bianco con vene brunastre. Composizione: dolomite, flogopite. Geologia: lenti marmoree intercalate nella falda Monte Leone, parte delle Unità pennidiche inferiori. Cave: all'imbocco della Val Divedro, presso Crevola d'Ossola. Dimensioni massime: monoliti fino a 11 metri di lunghezza. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, colonne, elementi ornamentali. Degrado: erosione, formazione di croste (solfato di calcio)
1f. SERIZZO
Gneiss, grana media, strette bande alternativamente di colore chiaro e scuro su fondo grigio, debole foliazione. Composizione: feldspato potassico, quarzo e miche. Geologia: falda Antigorio delle Unità pennidiche inferiori. Cave: sparse in Val Formazza e Valle Antigorio. Dimensioni massime: 2-5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, colonne, elementi ornamentali. Degrado: esfoliazione.
2. LAGO MAGGIORE
ANGERA (Pietra d'Angera)
Dolomia, grana molto fine, colore rosa, giallo o bianco, elevata porosità. Composizione: dolomite. Geologia: Dolomia principale (Triassico). Cave: sulla sponda orientale del basso lago Maggiore. Dimensioni massime: 2 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, colonne, elementi ornamentali. Degrado: erosione, esfoliazione, formazione di croste (solfato di calcio).
3. VAL CERESIO
3a. VIGGIÙ (pietra di Viggiù)
Calcarenite, grana media, oolitico, colore bruno. Composizione: calcite, dolomite, raro quarzo. Geologia: Calcari selciferi lombardi (Giurassico). Cave: in una vasta area a Sud del lago di Lugano. Dimensioni massime: 1,3-3,5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, fusti colonne, capitelli, elementi ornamentali. Degrado: erosione, formazione di croste (solfato di calcio).
3b. SALTRIO (pietra di Saltrio)
Calcarenite, grana fine, colore grigio chiaro, bruno o nero. Composizione: calcite, dolomite. Geologia, cave, utilizzi e degrado: come per Viggiù.
4. BRIANZA
4a MOLERA
Arenaria, grana medio fine, giallo scura o grigia, planare a laminazioni ondulate. Composizione: quarzo e muscovite a cemento calcitico. Geologia: formazioni torbiditiche del Flysch di Bergamo e dell'Arenaria di Sarnico (Cretacico superiore). Cave: disperse tra le colline brianzole nelle zone di Viganò e di Oggiono. Dimensioni massime: monoliti fino a 4,5 metri. Utilizzi: conci per edilizia, fusti di colonne, elementi ornamentali. Degrado: scagliatura, non collegata alla stratificazione, con distacco di frammenti; disgregazione con distacco dei clasti causato dalla dissoluzione del cemento calcitico.
4b GHIANDONE
Granodiorite, grana medio-grossolana, colore grigio con macchie chiare. Composizione: quarzo, feldspato, biotite. Geologia: corpo magmatico della Val Bregaglia - Val Màsino (plutonismo alpino) intruso nelle rocce del Basamento Sudalpino. Cave: in antico furono lavorati i massi erratici lasciati sul terreno dal ritiro dei ghiacciai quaternari; a diverse decine di chilometri rispetto all'area di affioramento in Valtellina. Dimensioni massime: 5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, rocchi per fusti, elementi ornamentali. Degrado: scagliatura.
5. LAGO DI COMO
5a VARENNA (NERO DI VARENNA)
Calcare, grana molto fine, colore nero assoluto. Composizione: calcite. Geologia: Calcari di Perledo e Varenna (Triassico). Cave: distribuite sul pendio montuoso e sulla riva del lago di Como. Dimensioni massime: 0,05 - 0,25 metri cubi. Utilizzi: lastre per rivestimento, elementi ornamentali. Degrado: alterazione cromatica, erosione, formazione di croste.
5b MUSSO
Marmo, grana medio fine, colore grigio o bianco con rare venature scure. Composizione: calcite, rari quarzo e muscovite. Geologia: lenti marmoree (larghezza circa 100 m) orientate da est a ovest e intercalate dagli gneiss del Basamento subalpino (zona Dervio Olgiasca). Cave: a monte dell'abitato di Musso sulla sponda Nord-occidentale del lago di Como. Dimensioni massime: 4 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, lastre di rivestimento, colonne, elementi ornamentali. Degrado: esfoliazione, formazione di crosta.
6. GOLE DELL'ADDA E DEL BREMBO
CEPPO DEL BREMBO
A seconda della granulometria si distinguono tre varietà: un conglomerato (Ceppo Rustico), un' arenaria con ciottoli (Ceppo Mezzano), un' arenaria vera e propria (Ceppo Gentile). Colore variabile su fondo giallastro. Composizione: quarzo, calcite e silicati cementati da calcite. Geologia: Ceppo del Brembo, depositi fluviali del Pleistocene inferiore. Cave: distribuite alla confluenza fra i fiumi Adda e Brembo. Dimensioni massime: 5 metri cubi. Utilizzi: conci per edilizia, statuaria, elementi ornamentali. Degrado: erosione, disgregazione, formazione di crosta.
4. CRONOLOGIA DELL'IMPIEGO IN ARCHITETTURA
Un congruo numero di edifici storici milanesi è stato studiato in occasione di interventi conservativi. I risultati delle indagini scientifiche e delle ispezioni visive delineano una storia dell'utilizzo delle pietre naturali in un arco di tempo che copre quasi due millenni.
Il periodo Romano
Gli edifici romani furono generalmente costruiti utilizzando blocchi squadrati (fino a 2 metri cubi), di conglomerato (Ceppo dell'Adda) e di granodiorite (Ghiandone), come si può osservare da quanto rimane del teatro e dell'anfiteatro, rispettivamente del primo e del secondo secolo dopo Cristo. Le fondazioni sono realizzate con blocchi e ciottoli provenienti da depositi fluviali, insieme con malta di calce. Furono poi utilizzati per scopi ornamentali o per pavimenti marmi grigi e bianchi sia locali, come il marmo di Musso (colonne di San Lorenzo), sia provenienti dalle Apuane (Luni, Carrara), sia dalle isole greche e dalla costa turca dell'Egeo. I ritrovamenti di questi materiali sono ben distribuiti in diversi edifici della città romana. Anche il marmo di Candoglia era già conosciuto dai romani cche lo utilizzarono per stele e lapidi. Nonostante la lontananza delle cave, i Romani utilizzarono anche pietre provenienti dal settore nord-orientale del territorio italiano, tra queste il calcare bioclastico di Aurisina (cave nel Carso triestino a 350 km da Milano), la trachite dei colli Euganei e il calcare nodulare di Verona (Rosso ammonitico). Il calcare di Aurisina fu utilizzato come pietra da costruzione o per le stele, la trachite per le pavimentazioni e il Rosso di Verona per gli elementi ornamentali. Furono inoltre estesamente utilizzati, per i rivestimenti parietali e per i pavimenti, diversi marmi colorati provenienti dalla Grecia (Cipollino, Fior di pesco, Porfido serpentino verde, Rosso antico), dalla Turchia (Pavonazzetto), dall'Egitto (Porfido rosso antico) e dalla Tunisia (Giallo antico).
Il periodo Tardo-antico
Il periodo paleocristiano (IV - V secolo) fu caratterizzato dalla costruzione di edifici religiosi in laterizio (San Lorenzo, Santa Tecla, San Simpliciano, San Giovanni in Conca, San Nazaro). Grandi conci di pietra, provenienti da edifici romani, furono riutilizzati soprattutto nelle pari inferiori degli edifici stessi: il Ghiandone a Santa Tecla, San Nazaro e San Simpliciano; il Ceppo a San Lorenzo. Questi conci hanno dimensioni considerevoli: due metri di lunghezza, uno di larghezza e mezzo di profondità. I pavimenti furono realizzati con Nero di Varenna e con marmi o calcari bianchi provenienti anch'essi dalle costruzioni romane (Santa Tecla e battistero di San Giovanni alle Fonti, entrambi del IV sec). Il Romanico Un buon numero di chiese fu costruito durante i primi due secoli del primo millennio, tutte con laterizi e pietre di riuso. Ceppo e Ghiandone nelle parti inferiori delle murature come in Sant'Ambrogio, San Vincenzo da Prato, Sant'Eustorgio e nel campanile di San Satiro. Nei rifacimenti romanici di San Nazaro e San Simpliciano, il Ceppo fu anche usato nei pilastri che sostengono le volte. I migliori esempi dell'uso di laterizi nelle murature si trovano nel Castello Sforzesco, iniziato nel 1358 e ristrutturato dal 1447 e nell'Ospedale Maggiore, cominciato nel 1456 da Antonio Averulino, detto il Filarete. Nel primo il Serizzo è usato nello zoccolo, mentre il secondo presenta elementi decorativi in terracotta intorno alle finestre e colonne di Serizzo nel portico. Fu in questo periodo che pietre di diverso colore furono combinate tra loro; era molto frequente l'accostamento tra marmi bianchi e neri: nella facciata della Loggia degli Osii (1316, ricomposta nel 1904) costruita in calcare nero di Varenna e marmo di Candoglia, nella chiesa di Santa Maria di Brera (1350, distrutta nel 1809) e nella cattedrale di Santa Maria Maggiore (distrutta nel 1683, ma conosciuta attraverso descrizioni, dipinti e stampe). La facciata di Santa Maria di Brera è attribuita a Giovanni di Balduccio, un artista di Pisa, città dove lo stesso accostamento tra bianco e nero si ritrova in numerose chiese medievali (Duomo, San Paolo a ripa d'Arno e Santa Caterina).
La cattedrale gotica
La costruzione del Duomo, realizzata interamente in marmo di Candoglia, iniziò nel 1386 e continuò per diversi secoli. Eccezionalmente il marmo non fu usato solo a scopo ornamentale, per sculture, guglie e rosoni, ma anche come concio per le murature, per gli archi e per le 52 colonne (altezza 24 metri). L'enorme quantità di materiale richiesta dal cantiere, rese necessario l'utilizzo di marmo proveniente sia da Candoglia che dalla vicina Ornavasso. Elementi squadrati in Serizzo furono utilizzati per lo zoccolo.
Il Rinascimento
Il Rinascimento portò ad uno spettacolare cambiamento con il passaggio dal laterizio alla pietra, spesso di vari colori, nelle facciate degli edifici milanesi. In questa sofisticata architettura, una pietra tenera, come la pietra di Angera, fu utilizzata per portali, modanature, bassorilievi e sculture. Esempi si trovano in Santa Maria presso San Satiro (1478) e Santa Maria delle Grazie (1493) entrambe del Bramante. La pietra di Angera era già stata usata dai Romani (steli e are) e nel Medioevo (i capitelli del X secolo in Santa Maria di Aurona). A causa dell'elevata porosità, la pietra d'Angera è soggetta all'erosione, tanto estesa da far scomparire completamente i rilievi scolpiti. Monoliti in Granito di Baveno e Granito di Montorfano furono introdotti all'inizio del XVI secolo per i fusti delle colonne. Normalmente si utilizzarono tre diversi tipi di pietra per realizzare una colonna: granito per il fusto, marmo grigio di Ornavasso (conosciuto in seguito come Grigio Boden) per le basi, pietra calcarea di Viggiù per i capitelli.
I graniti comparirono prima nel portico del chiostro di San Pietro in Gessate (1509) e nei pilastri della facciata della cappella Trivulzio, opera del Bramantino (1512).
A questo punto è interessante notare che i Romani non usarono i graniti dei Laghi per i loro monoliti, ma quelli egiziani di Assuan e del deserto orientale (mons Claudianus); così come per le colonne usarono spesso i marmi colorati greci (Cipollino e Fior di Pesco dell'isola di Eubea).
Il Classicismo
Questo periodo è caratterizzato dal ritorno al Ceppo e dall'uso su grande scala dei graniti. Diverse qualità di Ceppo furono impiegate con scopi differenti: il conglomerato negli zoccoli, l'arenaria nelle finestre. Si vedano i palazzi dei Giureconsulti (1561), Marino (1533) Omenoni (1565), le chiese di San Sebastiano, opera di Pellegrino Tibaldi, e di Sant'Alessandro, iniziata nel 1601 su progetto di Lorenzo Binago. Altre pietre molto utilizzate in questo periodo furono: il grigio Boden, o grigio di Ornavasso, nella facciata ricca di ornati e nel portico del santuario di Santa Maria dei Miracoli di Angera (1572); la dolomia di Angera nei rocchi delle colonne e nelle murature di San Fedele (1569), di San Raffaele (1575) e della Certosa di Garegnano (1577). Il numero di monoliti in granito in colonnati, portici e logge continuò ad aumentare come testimoniato dal Seminario arcivescovile (1602), dal Collegio elvetico (1608), dai palazzi Litta (1648) e delle Stelline (1652). Il granito Rosa Baveno fu scelto per le dieci colonne monolitiche di 19,5 metri di altezza, comprese nel progetto di facciata del Duomo del Pellegrino, approvato dopo decenni di discussioni. La prima fu preparata in cava nel 1628, ma si dimostrò troppo pesante per i mezzi di trasporto dell'epoca e il progetto fu definitivamente abbandonato.
Il Barocco
Francesco Maria Ricchino, il più significativo architetto del suo tempo e capomastro della Fabbrica della cattedrale, utilizzò largamente i graniti per le colonne monolitiche nei portali e nei cortili, per le cornici nelle facciate e per i conci degli zoccoli. Molte delle più innovative chiese di Ricchino furono distrutte nei secoli successivi, ma quelle superstiti attestano il ruolo dei graniti nelle sue opere: la chiesa di San Giuseppe (1607), la facciata concava con un balcone centrale convesso nel Collegio Elvetico (1627), il palazzo Annoni (1631), il chiostro centrale dell'Ospedale Maggiore (1625) dove la pietra di Angera fu impiegata per le sculture, San Giovanni alle Case Rotte (1645), i due ordini sovrapposti di colonne binate nel cortile del palazzo di Brera (1651), Santa Maria alla Porta (1652). Gli esempi del Ricchino furono seguiti dai suoi contemporanei come in San Paolo Converso (1613), San Vito al Pasquirolo (1621) e Santa Maria Podone (1626).
Gli altari barocchi
Un gran numero di altari fu costruito nelle chiese e nelle cappelle tra il XVII e una parte del XVIII secolo. I più elaborati hanno mense e dossali molto ornati con colonne, sculture, balaustre, fregi e scale. Anche i paliotti contengono generalmente intarsi di marmi policromi e pietre semi-preziose su marmo bianco o calcare nero. Nel caso degli altari si può dunque notare come l'utilizzo di pietre colorate, di provenienza anche estera, contraddica la regola sempre seguita relativa all'impiego di materiali locali.
-Rosso di Arzo, Broccatello e Macchiavecchia, da Arzo, un villaggio non lontano da Saltrio, ma in territorio svizzero (Ticino) fin dal XVI secolo.
Il Rosso di Arzo è un calcare rosso con vene o punti bianchi, il Broccatello è un calcare fossilifero violaceo, la Macchiavecchia è una breccia multicolore con alternanza di rosso, giallo e grigio.
-Arabescato Orobico, calcare screziato di rosso, bianco, grigio o rosa, da Camerata Cornello nell'alta Val Brambana (Bergamo).
-Occhiadino, calcare stromatolitico grigio con venature bianche irregolari, dalla Val Camonica.
-Alabastri calcarei (oggi erroneamente definiti onici in ambito commerciale) di diversi colori, da Induno Olona (Varese) o dalla Val Seriana.
-Giallo di Siena, marmo giallo con venature ondulate scure, dalla Montagnola senese.
-Oficalci, fondo verde o rosso con vene bianche, dal Piemonte e dalla Val d'Aosta o dalla Liguria.
-Marmi bianchi e grigi, dalle alpi Apuane.
-Rosso di Francia, calcare rosso cupo con spesse vene bianche, da Caunes en Minervois nel dipartimento francese dell'Aude.
-Broccatello di Spagna, calcare bioclastico giallo e violaceo, da Tortosa (Tarragona, Spagna).
Il Neoclassicismo
L intonaco prese progressivamente il posto della pietra naturale sulle facciate degli edifici, particolarmente nel periodo di fioritura architettonica iniziato nell'ultimo quarto del XVIII secolo, come il palazzo (1772) e la Villa Belgiojoso (1790), il palazzo Reale (1773), il palazzo Serbelloni (1793) e il Teatro alla Scala (1776). Graniti e Ceppo furono usati per pilastri e paraste, zoccoli, portali e decorazioni. La pietra di Viggiù, di buona lavorabilità, fu utilizzata principalmente nelle balaustre dei balconi e nelle finestre; il Ceppo Gentile soprattutto per le sculture che adornavano i giardini. Nei turbolenti anni che seguirono alla Rivoluzione francese, con la fondazione della Repubblica Cisalpina (1797), furono costruiti pochi edifici degni di nota. Per l'anfiteatro dell'Arena (1809), edificato per celebrare i fasti della Repubblica, si utilizzarono i blocchi di Ceppo provenienti dalla distruzione delle strutture difensive del vicino Castello Sforzesco, mentre l'Arco di Trionfo fu realizzato in Granito di Baveno. L'Arco della Pace, progettato in onore di Napoleone I (1808) e in seguito ridedicato all'imperatore asburgico Franz I (1838), comprende otto grandi colonne in marmo di Crevola, lo stesso marmo usato nel Duomo di Pavia.
Alcune pietre ebbero fortuna solo per alcuni anni visto la loro scarsa resistenza agli agenti atmosferici. Un esempio è la pietra Molera della Brianza, usata localmente per conci da muratura e per decorazioni, diffusasi poi nell'architettura Neoclassica. Il rapido degrado cui era soggetta, e che comportava notevoli distacchi di materiale, ne consigliò la sostituzione con pietra di Viggiù.
L'unificazione italiana
Negli ultimi decenni del XIX secolo, successivi all'Unità d'Italia (1861), con il completamento della rete ferroviaria ,lo sviluppo dei commerci fu molto rapido; quegli anni furono caratterizzati dalla tendenza sempre maggiore ad importare a Milano pietre naturali da tutte le regioni italiane. Tra le pietre più importanti si citano: il calcare nodulare Rosso di Verona e la pietra di Aurisina, entrambi già usati dai Romani; il marmo di Chiampo (calcare nummulitico di colore rosato), il granito verde di Mergozzo, la breccia Seravezza e la Breccia Vagli delle Alpi Apuane. Benché le pietre locali come il Ceppo, il Ghiandone, i Graniti dei laghi e la pietra di Viggiù fossero utilizzate in costruzioni emblematiche come la Galleria Vittorio Emanuele II (1865 - 1878), comparirono nuove pietre lombarde non ancora cavate: il conglomerato grigio e nero di Urago-Montorfano (Como); il calcare rosso di Ardesio e l'arenaria bruna di Credaro, entrambi dalle Prealpi bergamasche.
I camminamenti dei portici di piazza Duomo, alcuni innesti della galleria e molti successivi negozi adiacenti la piazza sono pavimentati in rosso, rosa di Verona e in Biancone che è sempre estratto a Verona. Le colonne monolitiche sono in rosa Baveno.
Il Liberty e il Decò
All'inizio del XX secolo l'aumento dei costi di lavorazione limitò l'utilizzo di pietre naturali e molte cave vennero abbandonate. Cominciarono ad essere impiegati materiali più economici come la pietra artificiale e il cemento decorativo, cioè miscele di Cemento Portland e di frantumi di pietra. La possibilità di usare gli stampi per realizzare forme diverse, consentì la preparazione di un numero impressionante di motivi decorativi. Le facciate degli edifici si riempirono di decorazioni piane, curve o di forma complessa che si ispiravano alla figura umana, a vegetali, ad animali o ad oggetti e strumenti di lavoro.
La perfetta imitazione dell'aspetto superficiale della pietra naturale era molto importante: i colori dell'aggregato erano quindi bianco, grigio, rosso o rosa a seconda che la pietra da imitare fosse un marmo, un calcare o un granito. Il Cemento Portland era preparato usando, come materia prima, le rocce marnoso-calcaree della Val Seriana: il cementificio Pesenti di Albino fu la ditta capofila nelle ricerche per produrre una particolare miscela di Portland chiamata Cemento Bianco. La scelta degli aggregati era meticolosa e si utilizzavano frammenti di pietra di Botticino (bianco), pietra di Viggiù (grigio), pietra di Verona (rosso) e pietra di Varenna (nero). La superficie era lavorata usando gli stessi utensili e con la stessa finitura della pietra naturale.
I Graniti ed il Ceppo erano tra le pietre ancora utilizzate, ma solo negli zoccoli degli edifici secondo quanto prescritto dal regolamento comunale. Le trasformazioni che si verificarono nelle tecniche costruttive contribuirono anch'esse all'abbandono della pietra. I balconi costituiscono, a questo proposito, un esempio significativo: tradizionalmente furono realizzati con ampie lastre di Beola (gneiss foliato della Val Ossola) sostenute da mensole metalliche o di Granito di Baveno; i nuovi balconi furono invece realizzati con gettate di cemento sostenute da putrelle metalliche, mascherate poi con volute modellate in cemento decorativo.
Il Fascismo
Il periodo seguente la prima guerra mondiale fu caratterizzato dalla rapida scomparsa della pietra artificiale e, nello stesso tempo, da una rapida ricomparsa della pietra naturale. Molti architetti di primo piano svilupparono un'architettura di pietra usando sottili lastre per il rivestimento delle facciate, secondo le possibilità offerte delle contemporanee tecniche costruttive (telaio di cemento armato). Questo tipo di architettura interessò edifici privati ed edifici pubblici come stazioni ferroviarie, uffici postali, scuole, ospedali, fabbricati del Partito fascista (Case del Fascio). Le lastre e gli elementi lapidei erano accuratamente segati e finemente lucidati per enfatizzare la presenza di vene e macchie colorate: tale raffinata finitura era soprattutto rivolta ai pavimenti e ai rivestimenti interni. Materiali locali come i marmi di Ornavasso, Crevola e Musso, i Graniti, il Serizzo, il Ghiandone e il Ceppo furono ancora largamente utilizzati. La scelta politica di promuovere l'utilizzo di materiali nazionali generò poi un mercato per tutte le pietre estratte non solo in Lombardia, ma in tutta l'Italia. Furono così utilizzate sia pietre di antica tradizione come l'Arabescato orobico e il Botticino sia pietre di nuove aree di cava come l'Abbazia, un calcare grigio con venatura bianca della Val Seriana, il Porfido rosso, il conglomerato rosso della Val Camonica e il Serpentino verde della Valtellina. Pietre provenienti da altre regioni come la Sienite di Biella, il Granito nero (granulite) di Anzola d'Ossola, il marmo bianco della Valle Strona, il calcare fossilifero rosato di Finale Ligure, i travertini di Tivoli o di Rapolano, gli oficalci di Aosta, Cesana e Levanto (oggi definiti commercialmente Verde Alpi, Verde Italia ecc.), l'argilloscisto verde della Valle della Roja, la trachite grigia dei colli Euganei , i calcari nodulari rossi di Trento e di Asiago, i marmi venati e brecciati delle Alpi Apuane, i graniti dell'isola d'Elba e della Gallura.
Il periodo post-bellico
La ricostruzione intrapresa per riparare gli estesi danni causati dalla II guerra mondiale, in particolare dalle incursioni aeree degli anni 1942-44, cambiò l'aspetto di Milano, soprattutto nel centro cittadino. Le facciate di moltissimi nuovi edifici di abitazione furono rivestite con lastre, fissate con zanche metalliche, di Ceppo del lago d'Iseo (Ceppo di Grè), breccia di colore grigiastro con elementi calcarei angolosi in una matrice ricca di cavità. Altre pietre italiane di nuova applicazione a Milano furono poi: il Perlino di Asiago (Vi), la pietra di Vicenza e quella di Trani (Ba), le pietre maremmane (Lavagrigia, Lavarossa e Santafiora), la pietra Piasentina da Torreano (Ud).
Nell'ultimo quarto del XX secolo, con l'avvento di nuovi materiali come vetro, acciaio e ceramica, l'uso della pietra in architettura milanese diminuì in maniera notevolissima. Oggi, nonostante la pietra sia tornata in uso a partire dall'ultimo ventennio, le pietre cavate in Lombardia si sono ridotte ulteriormente a favore di materiali provenienti dai cinque continenti. Fanno eccezione gli gneiss e i graniti dell'Ossola e il Ceppo d'Iseo oltre, naturalmente al marmo di Candoglia della Veneranda Fabbrica del Duomo. Fra gli edifici milanesi di recentissima realizzazione (2007) spicca l'ampliamento, progettato da Grafton Architects, della Università Bocconi con le facciate rivestite da lastre di Ceppo di Grè. Anche gli edifici che dovrebbero essere costruiti nei prossimi anni prevedono l'uso della pietra: è il caso del marmo di Candoglia per il rivestimento del Museo di Arte Contemporanea, progettato da Libeskind nell'ambito della riqualificazione del quartiere storico della Fiera di Milano.
Bibliografia
Scamozzi, V. L'idea dell'architettura universale, p. 400-402, Venezia, 1615 (la citazione è tratta da: pagina 176, capitolo 2, libro 7, Parte 2)
Breislak, S. Descrizione geologica della Provincia di Milano, p. 309, Silvestri, Milano, 1845.
Curioni, G. Geologia applicata delle Province Lombarde - Parte 2, p. 296, Hoepli, Milano, 1877.
Jervis G. I tesori sotterranei dell'Italia - Parte 4, p. 519, Loescher, Torino, 1889.
Salmojraghi, F. I materiali naturali da costruzione, p. 454, Hoepli, Milano, 1894.
Peverelli, G., Squarzina, F. (a cura di) I Marmi italiani, p. 453, Federazione fascista degli Esercenti le industrie estrattive, Roma, 1939.
Fagnani, G. Giacimenti di rocce e minerali utili tra il lago Maggiore ed il lago di Garda, Natura, Vol. 47 (1956), pp. 3-55.
Rodolico, F. Le pietre delle città d'Italia, p. 502, Le Monnier, Firenze, 1965.