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ALIBI A BUON MERCATO SULLA CRISI LIBICA
28. February 2011 18:30

Pubblicato in ATTUALITA'

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La crisi libica ha consentito al settore lapideo italiano di praticare per l'ennesima volta la nobile arte di stracciarsi le vesti gridando al disastro: in effetti, sembra che qualche commessa sia stata posta in lista d'attesa, ma la domanda di marmi e pietre da parte della Libia non è certo tale da rischiare un tonfo epocale, come qualche quotidiano ha dichiarato di temere. In effetti, l'export italiano del settore verso la “quarta sponda” esprime il due per cento di quello totale, mentre le vendite di tecnologie per il lapideo si pongono nell'ordine di un punto o poco più.

Sorge il dubbio che il mondo imprenditoriale sia pronto a cogliere l'occasione per giustificare ancora una volta le motivazioni straordinarie della sua bassa congiuntura, in modo da escludere a priori responsabilità proprie che d'altro canto sono sotto gli occhi di tutti: divisioni organizzative, limiti dell'impatto promozionale, carenze di verticalizzazione, scarsa propensione ad investire. Certo, esistono responsabilità anche maggiori del momento politico e delle altre forze sociali, ma ciò non significa che le aziende ne siano immuni.

Sarebbe il caso, piuttosto, di guardare all'avvenire in chiave realistica, evitando dichiarazioni quanto meno azzardate come quella secondo cui il mercato libico sarebbe stato il naturale sostituto di quello americano, condizionato da una crisi della domanda di rilevanza basilare, oggi in lento e tuttora difficile superamento. La Libia ha pochi milioni di abitanti, e non tutti in grado di ristrutturare il proprio bagno con grandi lavori in marmo bianco acquistato in Italia, come avrebbe fatto, stando alle cronache, la figlia di Gheddafi.

Si può aggiungere che in Libia esistono importanti riserve di materiali da valorizzare, come gli ampi giacimenti silicei del Fezzan, che finora sono rimasti in lista d'attesa grazie alla monocultura petrolifera ed al disinteresse degli operatori europei, resi perplessi dalle grandi distanze desertiche, dai problemi di approvvigionamento idrico e dalle ovvie carenze professionali.

Ciò significa che in prospettiva la futura dirigenza libica, qualunque essa sia, non sarà aliena dal prendere in esame ragionevoli ipotesi di diversificazione capaci di attirare nuove attenzioni proprio su quei graniti, ma anche su altri importanti giacimenti calcarei, già noti sin dall'Evo antico: se così fosse, si aprirebbero nuove opportunità per le tecnologie d'importazione, ma il mercato dei manufatti in arrivo dall'Italia non ne trarrebbe certo vantaggio.

In buona sostanza, evitiamo di far credere che taluni mercati di seconda o di terza fascia possano avere un ruolo taumaturgico nella soluzione dei problemi lapidei italiani. E' vero che nulla va trascurato, ma tutti sanno che il consumo africano occupa tuttora una posizione di retroguardia nella graduatoria continentale, e che le stesse produzioni, fatta eccezione per quelle di Egitto e Sudafrica, sono ben lungi dal poter assumere una funzione strategica.

Il futuro del marmo italiano è legato ad un mercato mondiale in cui emergono pochi grandi consumatori, alla capacità di specializzarsi in produzioni di nicchia ad altissimo valore aggiunto ed al recupero del consumo interno, che in tempi di crescita impetuosa della concorrenza diventa sempre più importante: cosa che bisogna far capire, ora più che mai, ad una volontà politica da responsabilizzare al massimo, se non altro nella scelta dei materiali per i lavori a matrice pubblica, dove carità di patria e pregiudiziali qualitative vorrebbero si preferisse la pietra domestica. Il resto, compreso il pianto per la presunta perdita del “posto al sole”, è corollario di circostanza.

carlo montani







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