I romani già transitavano da queste parti attraverso la via Flaminia che andava da Roma alle regioni orientali e qui si fermarono 6000 famiglie di coloni-soldati che suddivisero il territorio secondo il criterio della centuriazione in linee perfettamente ortogonali sui punti cardinali ad esclusione del nord dove la nascente via Emilia determinò una diversa angolazione. La strada e le opere per la difesa del territorio richiesero, come sempre, molta pietra e qui si inserisce la storia di Marino di mestiere scalpellino. Per alcuni è la storia, per altri una semplice leggenda, comunque si racconta di un uomo di origine dalmata, arrivato a Rimini nel 257 dopo Cristo assieme al compagno Leo per lavorare, come tagliatore di pietre, il ripristino delle mura difensive del borgo. La storia poi racconta che si meritò la beatificazione per la diffusione della nuova fede cristiana fondando, tra laltro, una comunità monastica in cima al monte Titano. Per altri meno disponibili alla liturgia, Marino, veramente dalmata, era un eremita che viveva su quelle cime tra il VI e il VII secolo. Per questa versione Marino entra nella storia della piccola Repubblica per aver fornito con il suo nome, il 20 febbraio del 885, la ragione storica per sistemare una controversia tra labate di San Marino ed il vescovo di Rimini su alcuni terreni di cui si era persa la proprietà. Il fatto prese il nome storico di placito feretano su cui viene sancita, in pratica, la nascita della piccola Repubblica.
Questo é solo per passare un po' di corsa il primo millennio, in verità la faccenda era degna di molte sceneggiature di film di successo sugli intrighi che governavano gli ambienti religiosi dell'epoca.
Intorno al 13° secolo, il potere ora ovunque in mano ai signori del territorio, i Malatesta a Rimini perché preferivano il mare, i Montefeltro a Urbino perché preferivano la collina. Nessuno voleva invece passare le vacanze in montagna e la zona del Titano riuscì a conservare l'uso padano dei due consoli per il buon governo. A questo periodo (esattamente il 1253) risale la prima menzione dello Stato sammarinese quasi in concomitanza con la nascita della confederazione elvetica e come i colleghi svizzeri, anche qui una specie di Landsgemeinde porta al massimo la democrazia con le decisioni di piazza. Poi nel diciassettesimo a qualcuno non è andato più bene forse perché stanco di gridare ai quattro venti la propria opinione (e poi sentirne altre "quattro" dalla propria consorte naturalmente di diversa opinione) si è deciso per un nuovo statuto che dava potere legislativo ad un Consiglio subito saldamente controllato dai signori del luogo.*
Un altro paio di secoli poi, dopo un breve dominio pontificio, ed un più lungo periodo di brigantinaggio non sempre cattivo visto che nella zona operava il leggendario Passator Cortese, (il Robin Hood nostrano), che depredava i ricchi per dare ai poveri, si evidenziò una gran voglia di libertà. Uno dei primi clienti della nuova tendenza fu naturalmente Garibaldi che qui si rifugiava come oggi fanno i normali stipendiati dell'industria, quando hanno bisogno di riposarsi. In effetti Garibaldi arrivava qui perché sempre inseguito dai papalini o dagli austriaci mal disposti ad accettare il suo modo di pensare (e di menar la spada) ma fece invece una grande presa sui sammarinesi che assorbirono il principio di libertà e solidarietà.
Da qui parte la San Marino dei giorni nostri, Repubblica libera votata al turismo (e ai francobolli) in un posto meraviglioso come la sua gente, con una grande cultura per la cucina e la lavorazione della pietra.
GLI ULTIMI CENTO ANNI
visti dalla parte degli scalpellini
La storia degli scalpellini di un luogo inizia sempre dalla disponibilità, nelle vicinanze, di una buona pietra. I primi abitatori del Monte Titano individuarono nella formazione miocenica, un calcare nettamente arenaceo di colore biancastro, giallognolo oppure grigio. La conformazione della cima della montagna pur essendo di mediocre durevolezza, si dimostrava adatta alla realizzazione di cornici, architravi, colonne, pilastri. Scendendo a valle verso il greto del Marecchia, il fiume che delimita a nord il confine, si trovano anche altri calcari e arenarie sempre miocenici, ma di tipo molto diversi da quelli a monte.
In sostanza gli scalpellini avevano a disposizione tre tonalità di arenarie: la mora tendente allo scuro, lazzurra in realtà bianco-candida, e la bianca tendente al giallognolo chiaro ancora usata per lavori di scultura.
Il cognome più legato alla storia del marmo sammarinese è forse quello dei Reffi. Carlo Reffi, morto nel 1919, fu insegnante di scultura nella Scuola Professionale dArti e Mestieri aperta il 25 ottobre 1918, ma prima fu un protagonista allEsposizione Universale di Parigi nel 1900. Lalbero genealogico di questa famiglia Reffi riassume in sé la storia di tante altre famiglie sammarinesi che con continuità e passione tramandarono nel corso dei secoli larte dello scalpellino. Molto arriva ad oggi per merito di Eugenio Reffi, figlio del direttore dei lavori del Cimitero, anchesso entrato ragazzino nel cantiere di quella costruzione come bocia (piccolo aiutante), nellespressione dialettale sammarinese, ma comune anche al piemontese da dove proveniva Giuseppe Reffi, il capostipite, guardia militare a Torino, venuto a San Marino nel 1788 per diventare artigiano della pietra per il restauro delle torri.
Verso la fine del secolo scorso altri Reffi si occuparono della pietra, Adriano divenne anche assistente governativo; Antonio, figlio di Marcello, lavorò a Parigi, il fratello Andrea partecipò ai restauri delle Cattedrali di Iroyes, di Reims, e di Mezieres, aiutato dal Figlio Silvano. Mario Reffi, figlio di Antonio dopo i lavori per i soffitti della cripta di San Pietro, della chiesa di SantAgata, del Teatro Titano emigrò in Brasile dove ha eseguito lapidi a Rio de Janeiro e San Paolo.
Unaltro nome del marmo sammarinese è quello di Mansueto Mariotti, detto Caméla, o Scarpioun dal suo segno zodiacale che figura anche in un suo autoritratto in pietra nel Museo di Stato. Morto nel 1921 a 86 anni, fu uno dei protagonisti degli anni piú gloriosi della difficile arte lapidea quando ancora era solo la fatica a trasformarla. La sua produzione di pezzi decorativi era vastissima, fra questi cé anche quello della Società Unione Mutuo Soccorso
Quando Mariotti partecipò allEsposizione Universale di Parigi nel 1900, era già stato segnalato nel catalogo dellEsposizione Regionale Agraria, Industriale, di Belle Arti, tenutasi a Forlí nel 1871, ove presentò alcuni mascheroni e un capitello fatti con il marmo della sua piccola cava. La cava fu una delle prime ad essere chiuse intorno al 28 per dar spazio alla nascente ferrovia San Marino-Rimini. Romeo Balsimelli, nato nel 1884, fu unaltro protagonista della lavorazione della pietra. Si occupò, tra laltro della ricostruzione delle parti danneggiate dai bombardamenti alleati del 1944 nonostante la neutralità sammarinese.
Il suo nome fece da riferimento, insieme al già citato Caméla in un breve testo teatrale di Luigi Pedretti (altro cognome noto, ma tra i marmisti dellalta Lombardia), intitolato il marmista sammarinese pubblicato 31 agosto del 38 sul Popolo dove, nellambiente del tranquillo entroterra romagnolo, si frammistavano i dialoghi argomenti familiari e di lavoro con allusioni al clima politico del momento.
Balsimelli insegnò a molti sammarinesi larte della lavorazione lapidea fatta con strumenti da lui stesso forgiati. Il suo miglior allievo: Aldo Volpini per qualche tempo si occupò anche del piccolo laboratorio attaccato alla roccia nei pressi della cava. Aldo Volpini è stato sicuramente lultimo scalpellino della antica tradizione sammarinese. Iniziò ancora bambino, nel 1934, e suo padre raccomandò al piú vecchio degli scalpellini, chiamato Sarafa, di accoglierlo bene e insegnargli con pazienza il mestiere. Lapprendistato era una fase difficile e pesante nella vita dello scalpellino, poteva durare anche quattro o cinque anni perché gli anziani erano molto esigenti e intolleranti sugli errori. Il lavoro costruiva anche invidie e rivalità di mestiere, ma non intaccava la solidarietà e la stima
Le storie raccontano della solita insofferenza dei mastri per gli allievi troppo creativi, quindi lontani dalla tradizione. Francesco Balsimelli, che in gioventú sperimentò personalmente lapprendistato nella cava, cosí, con qualche accento letterario, descriveva lo scalpellino sammarinese nel 1937: nasce si può dir nella cava; cresce ruzzando tra i sassi. Prima ancora della penna ha tenuto fra le dita esili un ferro ed un mazzuolo piccolo come un giocattolo; in ginocchio davanti a un sasso meno pesante di lui, sè picchiato con mano incerta sul pollice senza piangere, lasciando la prima goccia di sangue come perla di rubino sulla pietra ribelle. A dieci anni eccolo già apprendista con mazzuolo piú greve e con ferri piú grossi sotto la guida del padre, talvolta del nonno, traguardare i primi piani, squadrare i primi sassi, spunticchiare le prime facciate, rifilare le prime scalpellature; eccolo picchiare accanto al padre lo stesso sasso osservando e imparando, finché non gli venga affidato il suo pezzo ed allora, i muscoli già fatti dacciaio, sindurisce nel lavoro, si abbronza nel sole, si brucia di sudore, si vernicia del tenue pulviscolo che vola dal sasso martellato ed assume una patina grigia che lo fa sembrare di pietra esso stesso. Lo scalpellino è fatto.
Pochi anni prima quando nel 1934 il Volpini, futuro mastro lapicida, cominciò il mestiere, nelle cave cerano 60-70 cavatori che lavoravano allaperto, tenendo i loro ferri in una capanna. La sua figura artistica si può veramente definire completa: non si applicò, infatti, alla sola lavorazione della pietra ma, sempre da autodidatta, apprese la tecnica della modellazione. La storia, da questo punto, si accomuna molto con quella della Valpolicella.
Il desiderio di completare e perfezionare i risultati lo induceva ad osservare, studiare, imitare, le opere dei grandi artisti rinascimentali, per rendere sicura la propria linea, ed espressivo il segno. Da queste spiegazioni si ricostruiscono anche le modalità di lavoro della pietra. Per estrarla dal monte, i cavatori praticavano scavi attorno alla parte del masso designata, picchiando sulla roccia con piccone (a due punte) o con mazzette, strumenti piú leggeri a cui si potevano applicare fino a 20-30 punte differenti. Le scanalature, che in dialetto diventavano i "cannèl, potevano arrivare anche oltre 1 m. di profondità, fino ad arrivare alla cosidetta vena della pietra. Giunti cosí alla falda, i picconisti la isolavano dal masso, ponendo, nel punto in cui doveva avvenirne il distacco, due sfoglie di ferro dette scarafoi generalmente ricavate dalle pale dei badili vecchi. Fra queste due lamine incastravano una zeppa di ferro, su cui battevano con pesantissime mazze di ferro. Anticamente le zeppe erano di legno su cui si gettava lacqua per dar volume e sollevare la pietra da staccare. Se gli scalpellini non volevano ottenere blocchi compatti, scelti, da lavorare accuratamente, impiegavano le mine, poi il filo elicoidale. Per il movimento del masso si faceva leva con un palo detto la mariana e poi si faceva scorrere con i rulli o le palle, cioè un cilindro di ferro con o senza le estremità sferiche, che facevano rotolare il carico, spingendolo da dietro e tirandolo da davanti con leve apposite fornite allestremità di una unghia. Questo avveniva se il terreno era in pendenza, altrimenti usavano le binde (cioè dei cricchi), oppure un sistema di carrucole.
Arrivati al piazzale di lavorazione i blocchi venivano affrontati dalle squadre di scalpellini guidati da un direttore dei lavori che sceglieva i pezzi con una certa abbondanza per maggior sicurezza. Quando erano troppo grandi venivano invece fatti proseguire per la vicina segheria del Reffi che si occupava di entrambe le cave. La segheria era collocata più o meno nello stesso posto dove ora sorge il Grand Hotel costruito intorno agli anni sessanta dal famoso ristorante Giannino di Milano e dalla gestione negozi Motta. (destino vuole che lo scrivente allora dellUfficio pobblicità Motta ne curò allora il lancio). Qui sorgeva anche la sede della Cooperativa Scalpellini amministrativamente diretta da Angelo Sabatini. In questa fabbrica operava un solo telaio a sabbia che impiegava 40 ore per segare un metro di materiale in 10 tagli paralleli. Lalimentazione era naturalmente manuale con gli operai ai lati a buttare la sabbia da miscelare con lacqua che cadeva in abbondanza per formare la miscela abrasiva. La lucidatura era ovviamente a gomito con il carborundum.
Per le forme, gli attrezzi erano la solita squadra, il metro, la subbia per punticchiare la pietra, il mazzuolo, la martella e la bugiarda che poteva essere da 25 a 100 denti per ottenere risultati diversi.
MOMENTI RACCOLTI TRA I RICORDI
Il lavoro degli scalpellini, qui rinominati lapicidi non era certamente dei più salubri. Joseph Addison, in visita in Italia fra il 1701 e il 1703, fra le sue impressioni esprimeva lo stupore per il vapore freddo, che usciva dalle cave e gelava le mani anche in estate. Le dure condizioni stagionali e metereologiche in cui si svolgeva il lavoro fu uno dei motivi determinanti per lallontanamento del lavoro dalle cave dove entravano bambini e uscivano uomini precocemente ammalati e deformati. Le cave maggiori erano due fin dallantichità: una della Fratta, collocata sotto lomonima Rocca, di cui già nel 1856 il Brizi scriveva entro questa selva trovasi la cava delle pietre, che per lo piú spediconsi lavorate in Romagna, e servono in specie per stipiti da porte e finestre e laltra degli Umbri piú vicina alla seconda Rocca.
In occasione di lavori particolarmente rilevanti, oltre a trasportare pietre già lavorate in queste cave, gli scalpellini ne aprivano altre nelle zone piú vicine alla nuova costruzione Essendo il lavoro in pietra molto richiesto, si arrivò, nel 1826, ad aumentare il numero degli scalpellini
Fra la ricostruzione della Pieve e quella del Palazzo Pubblico affiorano sporadiche le voci degli scalpellini dagli Atti del Consiglio, ogni volta per chiedere lavoro e il saldo dei pagamenti. Essi cercavano di migliorare la loro situazione anche ampliando le cave, come risulta da una seduta del Consiglio del 20 maggio 1886, in cui si diede lettura del concordato stipulato fra il Governo, il Guardiano dei Padri Cappuccini e gli scalpellini Lodovico Simoncini e Odoardo Lombardi, sulla concessione, a questi ultimi, di una parte della macchia detta dei Cappuccini, per lestrazione della pietra da lavoro. La zona era quella della Fratta superiore, quindi molto vicina alla cava omonima e fu concessa in affitto per venti anni, stabilite le dovute condizioni di tutela del luogo (che non consentivano di scavare oltre la linea di confine o di erigere muri fra la selva e la vecchia cava). Ma allampliamento delle cave corrispondeva un danno crescente nella zona piú alta del Paese. Si è già visto infatti come, trovandosi la qualità migliore della pietra sul ciglio del monte, fin dallantichità il Governo dava in concessione le cave in quel luogo e, di conseguenza, si erano fatte le devastazioni maggiori. Fin dal secolo XVII si protestava in Consiglio per i guasti recati alla sommità del monte e si stabilivano risarcimenti penali; ma poiché lindustria impiegava un centinaio di uomini (tra picconisti per lescavazione e il taglio dei massi, scalpellini per la loro lavorazione, e braccianti per la rimozione dei detriti), non furono mai adottati provvedimenti seri e permanenti a proteggere la natura del luogo cosí che, continuando lattività degli scalpellini, si provocarono guasti irreparabili: si tagliarono addirittura massi a strapiombo, fino a mettere in pericolo lincolumità stessa delle rocche. Fra le proteste che arrivavano in Consiglio, quella di un Giacomo Macina del 12 aprile 1883, era contemporanea proprio alla grande rinascita della speranza per gli scalpellini sammarinesi, che in quel periodo si videro commissionati il Palazzo del Governo, il nuovo Cimitero e vari edifici pubblici. Questo cittadino chiedeva al Governo di procedere ai restauri delle mura, di rendere piú praticabile la strada che conduceva alla Rocca invasa da macigni e di non far piú estrarre la pietra in prossimità del Castello (la Fratta) per non danneggiare né quello né il ciglio della Rupe. Gli scalpellini sammarinesi parteciparono alle Esposizioni universali che caratterizzarono la seconda metà del secolo XIX. Si ha notizia di uno stemma della Repubblica, eseguito in pietra locale da Mansueto Mariotti (il Caméla) presentato allEsposizione Universale di Parigi del 1878, acquistato poi per 300 lire dal Governo sammarinese e posto nellingresso di Palazzo Valloni. Nel 1889, allEsposizione Universale di Parigi, furono esposti un monumentale camino nello stile del XVII secolo, opera di tagliatori di pietra sammarinesi, cosí come una catena tagliata in un solo blocco di pietra, e i cui anelli sono mobili e delicati come quelli di una catena dacciaio come quella che ancor oggi un artigiano dellOssola produce con molto successo. L'anno seguente, sempre a Parigi, i lapicidi di San Marino mantennero la loro fama, con varie opere, tutte apprezzate. Occorre ora fare un passo indietro e precisare che, al tempo di queste esposizioni, gli scalpellini non lavoravano piú nelle cave individualmente o a gruppi sporadici: si erano organizzati, per cercare di tutelare il loro lavoro, in una «Società degli scalpellini» della quale si ha notizia fin dal 1890. In una seduta consiliare di quellanno, gli scalpellini Odoardo Lombardi, Mansueto Mariotti, Francesco Della Balda, Elpidio Balsimelli, Luigi e Lodovico Simoncini, Francesco Tonnini, "chiedono che lappalto dei lavori del Camposanto sia diviso in due appalti separati, da una parte i lavori da muratore e dallaltra quelli da scalpellino. E' importante sottolineare come per la prima volta gli scalpellini rivendicassero una posizione distinta e autonoma dagli altri operai, e non certo per corporativismo, come si potrebbe supporre, dal momento che furono in seguito appoggiati dagli stessi muratori, riuniti anchessi in cooperativa. Infatti si legge dai verbali che gli scalpellini Luigi Simoncini e Pietro Balsimelli chiedono a nome di tutti gli scalpellini, con cui si sono riuniti in società, che il Consiglio di Stato anziché uno dia due appalti separati, uno per i lavori da scalpellino, uno per quelli da muratore, e che a loro venga concesso il lavoro da scalpellino a prezzo di stima. Nello stesso tempo i muratori Sebastiano Della Balda e Romualdo Foschi chiedono lo stesso per i lavori da muratore.
Difficile era invece la situazione di precarietà e sfruttamento in cui si vennero a trovare gli scalpellini che erano emigrati allestero. Le testimonianze della fine dellottocento raccontano che Mario Mularoni, Presidente dellAssociazione dei Sammarinesi dellEst della Francia, aveva raccolto in un volume La terre de la liberté gli intollerabili livelli socio-economici in cui i sammarinesi emigrati in Francia erano costretti a vivere. La protesta si trasferì a San Marino dove in un manifesto del 30 aprile 1891 si esprime una nuova coscienza della categoria: Operai! Il 1° giorno di maggio è la festa del lavoro dal quale deve sorgere la prosperità e il miglioramento delle classi meno fortunate che devono ottenere lavoro e orari di lavoro adeguati alle forze morali e materiali. Cosí fu dichiarato da ogni popolo civile e anche a San Marino il Governo e la classe piú agiata vengono chiamati a risolverli. Chi diragione dovrà curare piú di quello che non faccia, ogni genere di lavoro onesto ed in special modo lescavazione della pietra, unopera esportata dal nostro paese, unica industria che possa tenere occupati cento e piú operai di continuo.
Il Governo viene invitato ad emettere mezzo milione di lire in carta moneta e a coniare 100.000 lire in rame, a mettere in corso cartoline, vaglia e marche da bollo ed obblighi al pagamento tutti i debitori pubblici sia per la cinquina sia per denaro prestato oppure inizi una lotteriainternazionale a favore della Repubblica per una somma rilevante per riparare ai bisogni della classe operaia.
In pianura la Ferrovia Adriatica aveva oramai provveduto a collegare Rimini a Bologna, Milano, Ancona e Bari. Ai lati altre linee toccavano Urbino e Novafeltria, ma San Marino e la sua pietra rimanevano inesorabilmente esclusi per lacclività degli accessi alle cave. In un memoriale del 25 ottobre 1901 sulla necessità di una ferrovia anche per San Marino, il Ministro dei Lavori Pubblici Italiani esprimeva il vivo interessamento del vicino regno. Intanto gli scalpellini trovarono più interessamento nella costruzione della ferrovia italiana SantArcangelo - Urbino che dava lavoro a 100 tra cavatori, scalpellini, e braccianti sammarinesi. Il giornale della Democrazia Sammarinese (comprendente socialisti, repubblicani, progressisti e dal 1906 organo della Federazione Socialista Sammarinese), già dal primo numero dell1° aprile 1903, scriveva della necessità di un nuovo regolamento per gli scalpellini oramai dediti a molti tipi di lavoro. Il documento approvato da tutti gli scalpellini soci il 1° giugno 1904 e dato alle stampe, con alcune modifiche, nel 1906 esprimeva lo spirito della Cooperativa ed il suo fondamentale obiettivo di garantire e tutelare il lavoro per assicurare lonestà nelle retribuzioni, per contemplare con soluzioni eque ogni situazione che potesse presentarsi a offuscare la serenità dellandamento dei lavori, per mantenere infine la concordia fra i soci.
Da una polemica sorta fra il giornale Il Titano e Luigi Reffi, proprietario della cava della Fratta, si ricava che gli scalpellini soci di questa cooperativa nel 1903 erano 58. Il Titano vedeva allora nella nuova organizzazione della Società un segno del promettente risveglio della classe lavoratrice. La Cava sociale, acquistata per 1000 lire dalla Cooperativa era quella degli Umbri, vicina a quella di Luigi Reffi. Come si vede dagli articoli del Regolamento, la Società volle sottolineare piú volte la qualità artistica dellopera dei lapicidi. Era necessario verificare che il lavoro fosse fatto ad uso darte, ripartito secondo la capacità di ciascun socio, mentre i picconisti ed i braccianti venivano pagati ad ore, secondo la tabella dei prezzi fissati dallAssemblea. Nel 1905, anno in cui venne istituito a San Marino lUfficio Anagrafico-Statistico di Stato Civile e di Polizia Mortuaria, gli scalpellini sammarinesi erano in totale 59, di cui 44 residenti in Città, 4 in Borgo, 4 nella zona Scalette, 7 in quella Piagge e, comunque, tutti appartenenti alla parte del territorio denominato «Pieve-Città, mentre nessuno risultava dalla zona Pieve-campagna che comprendeva le altre zone. Il dato, oltre a confermare che il lavoro di tagliapietre era legato alla sola zona della Città di San Marino, probabilmente potrebbe anche significare che erano gli scalpellini di Città a compiere i vari interventi di modifica e di restauro, che si registrarono nellassetto delle piú antiche costruzioni degli altri Castelli, nelle cinte murarie, nelle porte di accesso, come avvenne a Borgo Maggiore, a Serravalle, a Montegiardino, a Faetano. Comunque, sembra improbabile che, se nel 1903 gli scalpellini erano 58 nella sola cava della Società, due anni dopo fossero 59, compresi quelli che lavoravano alle dipendenze del Reffi. Occorre però tenere presente il fenomeno dellemigrazione, che colpiva in misura altrettanto grave i tre strati sociali della popolazione sammarinese: gli artigiani (che erano 418), i braccianti (347) e i coloni (1832). In unindagine compiuta in proposito nel 1905, si legge E' da poco iniziata una vera corrente emigratoria a scopo di lavoro, dopo che lindustria del lavoro di pietra si dimostrò alquanto diminuita per la concorrenza che viene fatta al lavoro degli scalpellini dalle fabbriche di cemento dItalia. Le zone del flusso erano: lAmerica, e in particolare il Brasile, IArgentina, IUruguay e gli Stati Uniti del Nord; dal 1900 la Grecia, la Germania, IAustria, la Francia e lEgitto; dal 1904 la Svizzera. Già negli Atti del Consiglio del 14 aprile 1898 si legge sussidio accordato a Nullo Belloni, Adolfo Balsimelli, Forcellini Giuseppe, Francesco Pignatta (scalpellini) di lire 30 ciascuno alloggetto di poter recarsi per lesercizio del loro mestiere a Bucarest (Romania). Previa dichiarazione per sapere se realmente è aperto il lavoro in quel Regno fu posta ai voti lintera somma di lire 120 che il Consiglio approvò. Nel Regolamento della Società Scalpellini, era contemplato anche il caso di emigrazione da parte dei soci, negli articoli 8 e 15. Pietro Franciosi, Presidente anche della Società Unione Mutuo Soccorso, sensibilissimo e attento al fenomeno dellemigrazione, aveva fondato in quel periodo un Ufficio di Emigrazione temporanea in Europa, incaricato di prendere contatto con luoghi dove loccupazione fosse sicura e lambiente non ostile per inviare, con una certa tranquillità, gli emigranti sammarinesi allestero. Per questo suo impegno Franciosi seppe meritarsi la stima e laffetto di tutti i lavoratori sammarinesi, in particolare degli scalpellini. Restano, a testimonianza della sua attività sociale, le lettere che gli pervenivano dallestero, sia dalle Ditte a cui chiedeva lavoro per gli scalpellini, sia da questi ultimi, per tenerlo al corrente della loro vita. Ma se i disagi dellemigrazione erano assai penosi, ugualmente triste si profilava la situazione per chi restava a San Marino. In un numero del Titano del 18 marzo 1906, dove si denunciava laggravarsi della piaga dolorosa della disoccupazione, per cui lesodo dei nostri operai assume una forma piuttosto allarmante. Negli ultimi giorni sono partiti molti altri lavoratori per la Francia e la Svizzera. Per affrontare le nuove difficoltà, come si legge su Il Titano del 15 dicembre 1907, in poco tempo si sono costituite varie leghe per assumere collettivamente lavoro di ogni genere, e per formulare le proprie tariffe con un massimo e un minimo di salario. I primi a dare il buon esempio furono proprio gli Scalpellini seguiti da Muratori, Picconisti, dai Braccianti. Diventava comunque necessaria una scuola professionale per meglio affrontare lestero. Finalmente nel 1909 ritornò un periodo abbastanza favorevole per gli scalpellini e, accanto ai lavori individuali piú artistici, la Cooperativa firmò vari contratti di lavoro, specie per la costruzione della vicina ferrovia Santarcangelo - Urbino con lImpresa Morbidi e C. di Fano per tutti i lavori in pietra occorrenti compresi il ponte sul fiume San Marino, diversi viadotti, e la stazione di Pietracuta. Nello stesso tratto numerosi lavori toccarono anche alla Cooperativa muratori di Città e Borgo.
Negli anni 20 tutta la zona fu particolarmente attiva nellorganizzare la marcia su Roma e, anche a San Marino, dopo le elezioni del 23, si iniziò a smantellare le cooperative, ridurre allimpotenza le leghe operaie e snaturare il significato delle loro iniziative. Fu esaltato uno sfrenato individualismo che avrebbe portato a forti rivalità con contrasti fra i lavoratori e le loro categorie. Nel periodo la Società scalpellini divenne la Corporazione degli scalpellini: con liscrizione obbligatoria alla Federazione sindacale fascista. Fu imposto un lavoro medio giornaliero 12-13 ore al giorno, ma in compenso il 13 giugno del 32 San Marino fu collegata a Rimini grazie allalto interessamento del conterraneo: Benito Mussolini. La pietra era salita al centro dellinteresse del regime per la simbologia di potenza e di trionfo della romanicità e per gli scalpellini la vita migliorò. Un ragazzo quindicenne, ad esempio riusciva a guadagnare 2 lire allora, più di 20 lire al giorno. Per comprendere appieno limportanza della ferrovia bisogna considerare la posizione altimetrica di San Marino, arroccata in un luogo non facilmente accessibile tra rupi verticali posti a dominio dellunica fascia pianeggiante che divide il nord dal sud Italia.
Le locomotive erano arrivate a Rimini già nel 1861, ma era rimasto impossibile per il vapore affrontare tali pendenze, anche la diligenza postale quando arrivava alle pendici del monte sostituiva i cavalli con i muli per affrontare la ripida salita. Solo la trazione elettrica pur con tornanti ed elicoidali riuscì ad arrivare ai 650 metri dellantico borgo, ma non prima di aver sacrificato nel suo percorso una cava di pietra per ottenere una pendenza più favorevole.
Dopo solo dodici anni, il 2 giugno 1944, gli alleati con un pesante bombardamento riportarono tutto come prima. Nonostante la neutralità di San Marino venne distrutta una buona parte della linee a valle ed alcuni treni. Un paio rimasero isolati per sempre, uno addirittura dato per disperso e ritrovato solo trent'anni dopo dimenticato nel bel mezzo di una galleria e oramai ridotto a coltivazione di funghi. Con la caduta del fascismo l11 marzo 1945, il governo passò al Comitato della Libertà, costituito da socialisti, comunisti e dai personaggi della lotta di liberazione che si impegnò nella ricostruzione, perché pur non avendo partecipato al conflitto mondiale, la repubblica del Titano ne aveva però subito i danni. Nel generale clima di rinascita, fu riattivata lattività della Cooperativa degli Scalpellini, distinta ora nelle due categorie: buona o media a seconda della qualità raggiunta dagli appartenenti. Gli scalpellini venivano pagati a ore per i lavori eseguiti per conto dellUfficio Tecnico, ma nel contempo, si accettavano anche lavori commissionati da privati e da Comuni italiani. Per il rilancio dei lavori privati nel 1948, fu allestita nelle sale del Palazzo Valloni la 1° Mostra dellartigianato e dellindustria sammarinese a cui parteciparono la Cooperativa degli Scalpellini con un artistico camino e gli scalpellini Romeo Balsimelli e Aldo Volpini, che esposero interessanti altorilievi in pietra.
Nel periodo aumentò la disoccupazione e ripresero le emigrazioni verso lArgentina, lAmerica del Nord, la Svizzera, la Francia. Nel 1953 risultavano due soli uomini ufficialmente qualificati a far funzionare le due cave presenti nel territorio. La maggior parte dei marmisti e degli scalpellini era oramai occupata nelle fabbriche di cemento o nei cantieri dellUfficio Tecnico. Nel 1956 i 6 o 7 scalpellini rimasti si trovarono nella situazione di non poter più operare per gli alti costi dovuti allesaurimento delle cave, per la mancanza di giovani disposti a continuare il lavoro e per la volontà politica di puntare tutto sul turismo eliminando, quindi, ogni segno di escavazione.
Da allora le cave si sono trasformate in parcheggi tranne una delle più piccole che continua lattività per garantire lopera di restauro. La tradizione continua anche in un cantiere scuola voluto, alla fine degli anni settanta, da Giuseppe Della Balda, discendente di uno scalpellino e Deputato ai Lavori Pubblici. Così non si disperderà larte degli ultimi scalpellini superstiti anche se, laiuto dei piú moderni mezzi, toglie molto vigore allantica lotta delluomo su una pietra ben intenzionata a resistergli.
Un documento per la storia
fine ottocento - IL REGOLAMENTO DEGLI SCALPELLINI SAMMARINESI
Art.1 Si c costituita fra gli scalpellini della Repubblica una Società Cooperativa allo scopo di assumere tutti i lavori governativi, riferentesi allarte marmorea, di qualunque entità siano, e i non governativi paesani e forastieri quante volte torneranno convenienti
Art.2 Essa nominerà ogni anno nel suo seno una commissione di 5 membri per fissare il prezzo delle fatture e per stabilire le tariffe daccordo coi sovventori di lavoro.
Art.3 Nomina pure ogni anno tra i soci una commissione direttiva di 2 rappresentanti, con una percentuale da convenirsi, per affidare il mandato di acquistare e scegliere la pietra, di far lo spoglio dei lavori e i relativi riparti a seconda della capacità di ciascun socio, di combinare e sorvegliare i trasporti, di comandare gli operai piú idonei allassistenza della messa in opera, di verificare che il lavoro sia fatto ad uso darte, di riscuotere e pagare, di firmare istrumenti ed ogni atto relativo alla Società. Cotesti due membri si controlleranno a vicenda, funzionando luno da contabile, Ialtro da cassiere: daranno il resoconto alla fine di ogni lavoro ed avranno pari responsabilità e pari indennizzo.
Art.4 Il piú del guadagno giornaliero, o meglio lutile netto, verrà diviso alla fine della lavorazione fra tutti i soci che abbiano lavorato, con una percentuale per ciascuno a seconda del lavoro eseguito, avendo cura nei lavori di importanza di rilasciare il 20% per il fondo di riserva.
Art.5 Se un socio procura lavoro, e lo mette a disposizione della Società intera, avrà diritto ad una percentuale sugli utili.
Art.6 Quando un socio avrà consegnato la parte di lavoro toccatagli, non avrà diritto nella medesima lavorazione ad altra parte.
Art.7 Se un socio si ammala prima o durante il lavoro la sua parte verrà data a farsi ad altri; ed egli avrà diritto infine alla percentuale comune del guadagno, purché giustifichi col relativo certificato medico la sua avvenuta malattia.
Art.8 Se un socio si assenta dal Paese per un tempo indeterminato, durante una lavorazione in corso, non ha diritto di disporre della propria parte di lavoro a favore di terzi.
Art.9 Se un socio o per negligenza o per trascuranza non compie a tempo il lavoro, questo gli verrà tolto o totalmente o in parte dalla commissione direttiva, e verrà distribuito fra gli altri. Se poi loperaio negligente movesse lamenti in proposito, verrà corretto a dovere e al caso anche depennato dalla Società.
Art.10 I Capi Cava che realmente posseggono pietra da lavoro, potranno conservare il diritto, (finché non si disporrà di una cava sociale) dellescavazione e della vendita della pietra, il cui prezzo sarà combinato dalla commissione direttiva volta per volta secondo la qualità della pietra stessa purché essi si obblighino di farla estrarre nel tempo prescritto dalla commissione.
Art.11 Se qualche operaio disponesse di qualche mc. di pietra grezza, riconosciuta buona e adatta dalla direzione, verrà da questa comprata per la Società, purché il venditore sia iscritto fra i soci.
Art.12 La Società nominerà ogni anno nel suo seno 2 consulenti idonei a coprire lufficio di Presidenza e di Segretariato, e risolvere qualsiasi pendenza e ad appianare ogni controversia che fosse per nascere tra i Soci.
Art.13 Viene acquistata dai soci effettivi, scalpellini lavoranti, una cava sociale per il prezzo di L. 1000.
Art.14 Per cui si contrae un debito di ugual somma nella locale Cassa di Risparmio, da estinguersi in rate, nel piú breve tempo possibile, cogli utili netti ricavati dal lavoro. Mancando questi utili, ciascun socio sarà obbligato a concorrere con ugual somma per soddisfare limpegno assunto, salvo poi ad essere rimborsato in seguito qualora si verificassero gli utili suddetti.
Art.15 Quando non ci fosse alcun utile per mancanza assoluta di lavoro, anche il socio emigrato, firmatario della scrittura, è tenuto a mandare la sua quota per far fronte alle rate dei pagamenti.
Art.16 I Capi Cava non lavoranti non tranno vantaggi diretti dalla cava sociale, non avranno nessun obbligo di contribuire al pagamento della medesima; essi rimarranno SOCI puramente onorari.
Art.17 Detratte le spese, il rimanente dellutile ricavato dalla cava sociale sarà erogato, fino a nuova disposizione, per costruire un fondo pro-cava e relativi attrezzi.
Art.18 Quando il debito contratto sarà totalmente estinto, Iutile netto verrà destinato come allart. 4 del regolamento.
Art.19 In tutti i lavori la Società si servirà, per la pietra che le manca, di quelle cave in cui i padronali si obbligheranno di somministrarla al prezzo corrente.
Art.20 Lavori governativi, per le fatture, verranno ripartiti in parti uguali a tutti i soci che li eseguiranno nel tempo determinato dalla Assemblea; in caso di negligenza verrà applicato lart. 9 del Regolamento.
Art.21 Per i lavori di privati la Direzione provvede allesecuzione dei medesimi nel piú breve tempo, senza addivenire ad un riparto fra tutti i soci. In caso di lavori durgenza, nessun socio potrà rifiutarsi agli ordini della direzione e della commissione direttiva, le quali avranno piena. facoltà di scegliere quei soci che riterranno o piú adatti o piú idonei di lavorare a contratto e a giornata o piú capaci per la caricazione .
Art.22 La Direzione e la commissione avranno eziandio facoltà di combinare contratti di lavori particolari non superiori alla somma di L. 1000.
Art.23 La Direzione da sé sola potrà assumere piccoli lavori fino allimporto di L. 100.
Art.24 Spetta alla Direzione e commissione di prendere a lavoro e di licenziare i picconisti e i braccianti occorrenti allescavazione della pietra.
Art.25 Per gli incassi realizzati dalla vendita della pietra e dei sassi, per le spese e fattura dei lavori si adotteranno i bollettari già in uso in ogni amministrazione. In pari tempo la Direzione farà uso del giornale settimanale.
Art.26 Ogni lavoro procurato da qualche socio dovrà essere definitivamente combinato dalla Direzione, che avrà cura di mettersi subito in diretti rapporti col mittente del lavoro stesso.
Art.27 La commissione direttiva avrà cura di fare adottare il prezzo della fattura della Società anche agli altri Padronali, ai quali incombe pure lobbligo di fare i pagamenti ogni quindicina. E libero però ciascun socio di lavorare sotto qualsiasi padronale, salvo nei casi in cui la Società non abbia bisogno dellopera sua come allart. 21.
Art.28 Quel socio che accetterà di lavorare in altra cava senza farsi pagare a tenor di tariffa, sarà depennato dalla Società con la perdita di ogni diritto sul capitale sociale.
Art.29 Se ad un socio occorresse qualche mc. di pietra grezza per suo uso privato, potrà acquistarla pel prezzo corrente dalla cava sociale
Art.30 I picconisti ed i braccianti, adibiti alla cava sociale, saranno pagati a un tanto allora, secondo la tabella dei prezzi fissati dallAssemblea.
Art.31 Nel caso di inabilità assoluta o di morte di un socio, entrerà nei suoi diritti e doveri qualchaltro di sua famiglia; in mancanza di successore, sarà rimborsato della parte di capitale o il socio infermo o lerede prossimo.
Art.32 Ogni nuovo socio dovrà pagare una tassa di amministrazione proporzionata al capitale di cui entrerà a far parte.
Giancarlo Lazzaroni
Si ringrazia la sig.ra Giovanna Morganti (San Marino) per la documentazione fornita.
I riferimenti storici sono tratti dai libri:
LE MANI E IL SASSO
di Maria Lea Pedini edito dalle edizioni AIEP di San Marino
LA REPUBBLICA DI SAN MARINO. UNA STORIA MILLENARIA
di: Pierpaolo Guardigli, Gabriella Lorenzi, Massimo Montanari, Pierpaolo Poggi.
edito da AIEP di San Marino
Entrambi possono essere richesti a:
AIEP Editore - via Gino Gacomini 110 - Repubblica di San Marino
RIMINI - SAN MARINO IN TRENO
di Gian Guido Turchi - editrice ETR - Piazza Vittorio Emanuele 2 - Salò BS
Le informazioni su San Marino sono state fornite da: State Tourist Office
Palazzo del Turismo Contrada Omagnano 20 - San Marino - tel ..39/ 378/822400