Gli Associati    Risorse    Articoli    Rubriche    Associazione     English


CERCA:



TUTTI GLI ARTICOLI

ULTIMI ARTICOLI
  • LASA MARMO - PREZIOSO ED UNICO PER OGNI FORMA DI ARCHITETTURA
  • LASA MARMO - SPLENDENTE, INTRAMONTABILE, DUREVOLE
  • DOMO GRANITI
  • CONVEGNO: SUPERFACES - PROGETTARE CON LA PIETRA NATURALE 14.10.22
  • MADE EXPO 2019 (13/16.03.19) - STAND ASSOCIATIVO CON PRESENTAZIONE ASSOCIATI
  • ASSEMBLEA PRESSO MARMO ZANDOBBIO 18.06.14
  • TALK: MADE EXPO 2021 (23.11.21) - PROGETTARE CON LA PIETRA NATURALE
  • ROSSI ALBINO
  • SANTAMARGHERITA
  • PAVIMENTI, RIVESTIMENTI E ARREDO
  • EDIFICIO GIO PONTI FORNAROLI ROSSELLI
  • CONVEGNO: MADE 2019 - PIETRA NATURALE, CONOSCENZA DELLA MATERIA PRIMA, QUANDO L'ESPERIENZA AIUTA.
  • TRATTAMENTI ANTISCIVOLO CHIMICI E MECCANICI DEI PAVIMENTI IN PIETRE NATURALI SOLUZIONI ANTISALITA DELL’UMIDITA’
  • FIERE SETTORIALI 2017
  • DI MAULO, LA SCULTURA E IL DISEGNO


I PIU' LETTI
  • PULIZIA E LUCIDATURA DI PAVIMENTI E RIVESTIMENTI IN MARMO, GRANITO E PIETRE NATURALI
  • COME STUCCARE E SIGILLARE LE PIETRE NATURALI
  • ITINERARIO STORICO ARCHITETTONICO TRA LE PIETRE DELLA STORIA MILANESE
  • NORME UNI DI RIFERIMENTO AL SETTORE LAPIDEO
  • MINIMIZZARE L' IMPATTO AMBIENTALE: I TETTI IN PIETRA NATURALE
  • ALTERAZIONI MACROSCOPICHE DEI MATERIALI LAPIDEI
  • I MAESTRI COMACINI (3a PARTE) DAL NEOCLASSICISMO AD OGGI
  • COME DISTINGUERE UNA PIETRA VERA DA UNA FALSA
  • I MAESTRI COMACINI (1a PARTE) DALLE ORIGINI AL ROMANICO
  • PIETRE NATURALI, AGGLOMERATI E GRES CERAMICI
  • PULIZIA E CURA DI FACCIATE IN PIETRA NATURALE
  • I MAESTRI COMACINI (2a PARTE) DAL GOTICO AL BAROCCO
  • LA CLASSIFICAZIONE GEOLOGICA DELLE ROCCE
  • TEMI SCULTOREI TIPICI DEL ROMANICO LOMBARDO
  • CALORIFERI IN PIETRA NATURALE, LA SCOPERTA DELL' ACQUA CALDA
  • TRATTAMENTI PROTETTIVI PREVENTIVI PER LE PIETRE NATURALI
  • IL RESTAURO CONSERVATIVO DELLA FACCIATA DEL DUOMO DI MILANO
  • I COLORI DELLE PIETRE NATURALI
  • CLASSIFICAZIONI DEI MATERIALI LITOIDI
  • I MARMI MEDIOEVALI DEI LAGHI DI COMO, LUGANO E MAGGIORE
  • LA SCIVOLOSITÀ DEI PAVIMENTI IN PIETRA NATURALE
  • LA NOMENCLATURA COMMERCIALE DEI MATERIALI LAPIDEI
  • LA POSA IN AREA PUBBLICA DEI MATERIALI LAPIDEI
  • DA FILOSOFICO A SCIENTIFICO: IL CAMBIO DI PARADIGMA NELL ANALISI ECOLOGICA DI IMPATTO AMBIENTALE.
  • CONVEGNO: SCELTA, IMPIEGO, POSA E MANUTENZIONE DELLE PIETRE NATURALI IN EDILIZIA.



LUCIANO DIONISI: PIETRA ED ARTE NELLA POESIA DELLE INTUIZIONI
31. July 2006 14:54

Pubblicato in ARTE

Leggi tutto

Condividi


a cura di Vincenzo Russi (Laboratorio Progetto Cultura) Per chi si interessa di arte e del riconoscimento di una produzione come opera d’arte, non può prescindere dallo studio dell’estetica. Difatti compito precipuo di questo campo è la determinazione di elementi di valutazione che siano comuni alla poesia, alla scultura, all’architettura, etc., tali per cui le espressioni artistiche prese in esame possano essere considerate appunto opere d’arte. Ma è universalmente noto che per quanto questa disciplina filosofica abbia avuto grandi sviluppi, pensiamo al A.G.Baumgarten, B.Croce, E.Kant, etc., questa non sia riuscita a stabilire in termini assiomatici un metodo di misurazione, quanto invece abbia dato strumenti di “lettura”.

a cura di Vincenzo Russi (Laboratorio Progetto Cultura)
Per chi si interessa di arte e del riconoscimento di una produzione come opera d’arte, non può prescindere dallo studio dell’estetica. Difatti compito precipuo di questo campo è la determinazione di elementi di valutazione che siano comuni alla poesia, alla scultura, all’architettura, etc., tali per cui le espressioni artistiche prese in esame possano essere considerate appunto opere d’arte. Ma è universalmente noto che per quanto questa disciplina filosofica abbia avuto grandi sviluppi, pensiamo al A.G.Baumgarten, B.Croce, E.Kant, etc., questa non sia riuscita a stabilire in termini assiomatici un metodo di misurazione, quanto invece abbia dato strumenti di “lettura”.
L’arte risulta il più elevato mezzo linguistico umano, variabile sia nel tempo che nel luogo, motivo per cui ne sia improbabile una qualsiasi costruzione che possa fissarne un parametro valutativo. La mutevolezza dell’arte sta quindi nella capacità dell’artista di esprimere, attraverso il proprio stile le intuizioni raccolte nel proprio tempo, nella storia che stà attraversando, anticipando qualcosa che poi a tutti sarà noto, per cui gli occhi dell’artista, attraverso le sue opere, diventano i nostri occhi e noi avvertiamo quella nuova visione della realtà.
Cerchiamo ora di capirne il concetto.
La prima possibilità di relazione che l’uomo ha con il mondo esterno è data dai sensi, attività che filtrata dalla ragione e dalla logica ci dà delle cose esperienza conoscitiva. Ma perché questa percezione sia fonte di intima conoscenza, necessita della sintesi delle esperienze dei sensi che è l’immaginazione, ovvero l’intuizione.
Per farne un esempio, un pittore che vuole dipingere un albero non si interesserà del dato scentifico come l’età dell’albero o dei metodi di classificazione, ma darà ascolto a ciò che di quell’albero sentirà, come la forza, la tranquillità, etc., farà attenzione cioé alla realtà soggettiva del percepito e non alla realtà oggettiva.
A tal proposito Kant compie una netta distinzione fra sensibilità e intelletto, in particolare ne differenzia le funzioni, dacché i sensi intuiscono ma non pensano, mentre l’intelletto e la ragione pensano ma non intuiscono (Estetica trascendentale).
Questa di Kant risulta una straordinaria interpretazione di quelle attività umane inerenti allo sviluppo dell’indagine sulla percezione della realtà concreta, costituisce infatti una riflessione specifica sulle proprietà cognitive poste alla base dell’essere nella natura.
E’ quindi l’intuizione che consente all’artista di produrre arte, cioé di creare nell’immaginazione, attraverso l’ispirazione, una forma avulsa dal contesto storico, che non sia inventata, giacché essa consegue un oggetto estraneo alla vita umana (telefono, auto, etc.), ma che sia espressione del modo di sentire dell’artista la realtà che lo circonda, “cogliendone il puro palpito della vita nella sua idealità”. Si evince dunque che un’opera d’arte, sia essa poesia, scultura, architettura, nasca e finisca nell’uomo: non è negazione della vita perché oggetto inanimato, ma ha una vita propria, una capacità di narrazione di storia, di azioni dell’uomo, che la rivela quale essere vivente.
L’attento lettore avrà notato però che si è parlato di forma creata e contenuta nell’immaginazione e non trasposta quale informazione dell’intuizione sulla materia. Ebbene, il Croce osservava che espressione e intuizione coincidessero al punto da risultare superfluo esprimersi, quindi creata la forma essendo in sé completa, già assunta nella coscenza, non sussistesse necessità di esecuzione fisica: “L’intuizione pura”. Il momento esecutivo è del tutto secondario, dacché la sua funzione è quella di fermare ciò che altrimenti la memoria non riuscirebbe a conservare. Pertanto, si intuisce che, se J.L.Borges non avesse scritto “Le monete, il bastone, il portachiavi, la pronta serratura, i tardi appunti che non potranno leggere i miei scarsi giorni...”, nulla avremmo a testimonianza della grandezza del suo essere poeta.
Nel caso di Luciano Dionisi, ci troviamo di fronte ad una produzione non figurativa, questione che forse potrebbe indurci ad una errata valutazione delle sue opere, per l’assenza di una preconcetta “bellezza”, nel caso la prendessimo in considerazione quale strumento di comprensione. In realtà questo risulta sicuramente un limite, dacché tutto ciò che non comprendiamo è un nostro limite, un vero artista vuole e sa farsi capire. Ebbene l’arte moderna, come in questo caso, ha la straordinaria capacità di esprimere emozioni, intuizioni, ovvero non ciò che è evidente, ma ciò che si percepisce, che si sente, attraverso una forma di comunicazione più complessa.
Il primo periodo dell’attività di Dionisi è caratterizzata da una produzione figurativa di un certo interesse. Si tratta di sculture in bronzo e marmo in cui forte appare l’impronta drammatica del suo percepire gli avvenimenti del suo tempo, ne intuisce la profonda alienazione di cui una intera società si stà vestendo, come una seconda pelle, una forma di auto-distruzione rimandata ad un tempo non molto lontano, e che forse, con molta probabilità, porterà ad una violenza sulla natura
Il pendolo, molto simile alla narrazione di E.A.Poe, è simbolo di una presenza non molto rassicurante, di una incontrovertibile fugacità dell’esistenza, il cui limite è designato dalla “falce”, dalla mezza luna, figurazione anche della notte, il buio più profondo a cui si attesta l’umano cammino e che la superfcialità delle coscienze rende più tenebroso e vicino.
E’ quindi l’esperienza di un’intuizione come dicevamo, che si stampa sulla materia, la informa di se attraverso la modellazione, concretandone il sentimento, quell’incontro tra coscienza ed incoscienza che genera un trauma, trasporta l’uomo in uno stato di dormiveglia che quel pendolo inesorabilmente misura e registra. E’ materia viva, simbolica, narrante l’essere poeta nella scultura. Ma questo avvertimento del dramma, di un dramma tutto interiore, ha bisogno di una voce: Dionisi sente la necessità di dare parola a quelle gesta, una voce urlata, catartica, capace di un avviso alla folla inerme e inconcreta. Ai segni alfabetici ne toglie la figuratività e ciò che resta sono i toni accesi ed aspri, rossi come sangue, grigi e neri di un animo cupo ma ormai libero, libero di aggirarsi nella dimensione infinita dei sintagmi senza regole, in una matericità più esplosiva ed intensa, benché più leggera: quella della pittura.
E’ il secondo periodo dell’autore, in cui la pesantezza cede il passo alla leggerezza, ed in questo è straordinario.
Ne “La stazione” di U. Saba, abbiamo la stessa condizione: “La stazione ricordi/a notte, piena d’ultimi addiì, di mal frenati pianti./ Una trombetta / suonava l’avanti / ed il tuo cuore / agghiacciava”. Il luogo, che sembra essere fatto per gli addiì, quindi la tristezza che si accresce nel vedere un viso amato mentre si allontana, e che forse, la donna, non rivedrà mai più, è la guerra a determinarne il sentore, poi il buio della notte, come in amarcord di Fellini, che tutto avvolge lasciandoci nell’indistinzione delle voci. E’ un’immagine viva, senza parole, dacché è il sentimento, uno sguardo a non volerne, parlano da sole perché intuiscono, quasi tristemente teatrale, in cui la voce fuoriscena, la guerra -al cui solo pensiero di qualcosa che porterà via parte di lei- ne raggela, rende “pesante” ciò che invece è leggero, il cuore, scrigno dei sentimenti lievi e incorporei. Nel linguaggio di Dionisi si tratta di tecniche miste su carta, superfici dominate da un tratto forte, irrequieto, che rinuncia alle forme finite a favore di una spontaneità tesa al recupero delle emozioni, come un suono stridulo il cui compito è il richiamo alla verità delle cose. L’autore avverte in sé, in coscienza, tutto il peso di una società dedita al consumo delle capacità comunicative, dei valori, delle qualità insite nella natura umana, e con attività febbrile ne mostra il dramma interiore, le possibilità mancate.
E’ la libertà di un gesto capace e consapevole a dettarne le trame, il racconto fatto di segni, colori, parole senza voce. E’ un mettersi in discussione, un confronto con la realtà attraverso lo scavo della superficie, in cui l’equilibrio raggiunto risiede solo nella estraniazione dell’impeto che non ha forma, ma forza tonale, ed in questo l’intuizione è perfettamente composta e riconoscibile. Il campo così creato non riceve una relazione con la realtà, bensì, per dirla con l’Arcangeli, “una forma non premeditata”: se nell’arte antica l’autore tracciava un bozzetto, I’idea già definita di ciò che andava a realizzare, ora quell’idea è data in atto, si compie nel fare l’opera, è forma emotiva, il progetto coincide con l’opera stessa.
Oltre alla lezione che è possibile trarre da questo grande artista ed amico è però l’input per un’altra osservazione.
Gli esegeti che si sono occupati dell’opera di Dionisi come Roberta Ruggeri, Carlo Melloni, Giorgio Marangoni, forse per classica formazione più letteraria che visiva, ritengo che ne abbiano limitato il carattere semantico attraverso una lettura esclusivamente interpretativa: ma per quello c’è l’autore!
In realtà un’ opera d’arte si rende visibile per ciò che è, ovvero essa ha una sua identità, una sua misura universale, l’opera d’arte è, e basta, come la bellezza: la bellezza di un viso, della natura, di una poesia, sono valori oggettivi, benché possano sembrare soggettivi, la poesia di Borges ha una bellezza suprema data dall’equilibrio, da un’ architettura compositiva straordinaria, dalla pulizia della parola, e chi non riesce a vederla, chi preferisce Ramazzotti a Borges, il problema è certamente il suo non di Borges, i valori estetici sono realtà oggettive cui la critica può solo aggiungere qualcosa.
Credo che quel qualcosa sia da ricercarsi nel fatto che, memore della lezione del Croce, l’arte essendo espressione di un’intuizione, è una sola, identica nella sua idea, tant’è che “chi ha senso artistico in un verso, in un piccolo verso di poeta, trova tutt’insieme musicalità e pittoricità e forza scultoria e struttura architettonica”. Distinguere le forme d’arte, architettura, poesia, scultura, musica, significa non altro che differirne i mezzi di cui l’intuizione si serve per manifestarsi. Pertanto di fronte alle opere di Dionisi possiamo affermare che l’attenzione non sia da dedicare all’interpretazione del gesto, bensì si tratta di capire che la poesia oltre che nelle parole è anche in un’opera scultorea, come afferma lo stesso Roberto Longhi, per il quale una tela era un’opera poetica. Essa rappresenta un metodo universale di lettura, come abbiamo visto e vedremo più avanti, e quindi, di contro ad una interpretazione didascalica, si costituisce come tramite sicuramente più suggestivo.
La poesia è giudicata tale per via di due necessarie costanti: le immagini (prodotte dalle parole) e un sentimento che le anima. La parola, in tutta la sua tradizione linguistica italiana, ha assunto una forza straordinaria, quella di creare immagini, di rendere reale ciò che è desiderio, sogno; sono cose visibili, lì d’avanti a noi e le vediamo.
Questa forza è data non solo dalla conoscenza degli strumenti grammaticali, sintattici, di metrica, ma anche da una volontà interiore di trasmettere un’intuizione, di rappresentare la vita. Contiene ed esprime valori eterni che nulla hanno in comune con il tempo determinato, il luogo specifico, ha quindi carattere di universalità. La poesia, dunque, è in un senza tempo, perché l’intuizione non ha dimensione. Se quindi motivo fondante di quest’arte è l’astrazione, ne discende che ogni sua immagine è contenuta in quel caleidoscopio spirituale della creazione, e data l’indistinzione del referente, dunque, è possibile attingerne liricità per l’architettura, la poesia, etc.
Durante il suo percorso formativo, Dionisi sembra però denunciare una indecisione linguistica, dal momento in cui al colore, alla costruzione poetica di dimensione da Flatlandia, torna alla solidità del racconto facendo riacquisire materia al segno, ritorna cioé alla scultura. In realtà le precedenti tecniche e mezzi linguistici, sono serviti all’autore per indagarne, della materia, tutte le possibilità comunicative, al fine di meglio intenderne l’intima vocazione, saggiarne le qualità espressive date dal colore, dalle superfici, dalle forme trovate e risemantizzate. La materia costruttiva infatti è quella ritrovata nella poetica e nella dispozione, perché ritrovato è il valore semantico ed evocativo: il pensiero non può essere comandato, ma è casuale, quando arriva, quando entra e si impone nella nostra memoria, occorre qualcosa per renderlo cosa concreta, e tutto ciò che abbiamo a disposizione bene si presta a congelarne l’intuizione, lo spago, il legno, il sacco, perché sentita ne è la sacralità. Nulla è inventato nell’idea, l’intenzione è quella di trarre dal consunto, dal significante già espulso dal percorso entropico, il residuo significato, o addirittura ricomporne in una dimensione altra, i sintagmi linguistici. Il carattere intrinseco è ancora evidente, il recupero di ciò che non è corrotto, di ciò che è destituito dalla priorità dei valori, operando però in sordina, con una manualità certosina, controllata e sapiente, che presuppone la lontananza dal rumore delle voci, lontano dalla commercializzazione del pensiero.
C. Kavafis, come Dionisi, propone lo stesso suggerimento: “Farla non puoi, la vita, come vorresti? Almeno questo tenta / non la svilire troppo nell’assiduo contatto della gente / a furia di recarla in giro, e con l’esporla alla dissennatezza / di commerci / sin che divenga una straniera uggiosa.”
Al tentativo non riuscito di vederne realizzata un’ideale di vita onesta, di pensiero, nelle virtù e nelle azioni, allora, azione ultima è scappare, non vedere, non contaminarsi al contatto con la gente, con la stupidità e leggerezza altrui.
Un grande valore della comunità risiede proprio nel rapporto con gli altri, nella possibilità di prendere atto di sé, ma a volte la gente trasmette stupidità, nell’inconcretezza del proprio pensiero, sicché l’unica difesa diventa la propria dimensione, la propria coscienza; non attraversare il vuoto di chi ci circonda, nel rifiutare il troppo commercio con la gente, affinché il nostro pensiero non diventi estraneo a noi stessi, una moda. Più tardi sarà la pietra a permettere alla mano dell’artista, di riprodurne la semantica, la simbolizzazione, la poeticità, che solo attraverso i tagli, le incisioni, le scalfitture potrà rendere ed oggettivare: “La pietra, fascinatrice dell’animo, ti prende per mano e ti accompagna fuori dal tempo, in un gioco alchemico basato sull’evocazione; ora sei lì ora là e quel segno, quella forma ne è la condizione” dirà l’autore.
Un viaggio dunque, quello dell’autore, una fuga non di disperazione, di evasione, ma cosciente di un ritorno ad un tempo forse migliore, ma che certamente vedrà in un ottica differente. Si serve di una porta, “La porta del tempo”, di un accesso verso una nuova dimensione, quella mitologica, mondo in cui la realtà è ancora ai primordi, in cui l’uomo si affida nell’indistinzione del Divino, al Dio delle cose, che è nelle cose. Osservatene la compostezza, è un passaggio ricavato nella pietra, scavando la materia con la volontà di chi è alla ricerca di un poi, di un luogo forse già precedentemente scoperto, data la distinguibilità dell’ingresso, dalla materia di riempimento, di chiusura. Evidentemente l’autore sapeva già cosa si nascondesse al di là del muro, dacché dallo scavo si evince tutta la veemenza di un gesto affrettato e concentrato, pur di riuscire a varcarne quanto prima la soglia .
“Il trono di Nettuno”, rappresenta concretamente gli assunti prima esposti; questa scultura viene eseguita durante il simposio di scultura monumentale dal tema “Le divinità e il mare”.
La simbologia è piuttosto chiara, I’autore ne immagina il palazzo, la figura imponente della divinità e la ritrae. Il tridente che arma la mano del dio è il veicolo doppiamente semantico di tale immagine, dacché ne riferisce anche della corona, mentre è nelle dimensioni e nei tagli degli elementi che risiede la capacità evocativa del trono, del seggio, costruzione morfologica dalla profonda tensione mnemonica.
Dopo essere sceso nell’antro, limite temporale e linguisticamente oppositivo, umano vs divino, naturale vs soprannaturale, il nostro, sembra avviarsi lungo la strada del ritorno, verso la realtà, fortificato nello spirito, dopo aver raggiunto le verità di un luogo dopotutto felice, riparato dal mondo esterno, quello del suo animo. Difatti le divinità prima possenti, ora vengono svestite della loro componente irreale, e trasposte in una dimensione più terrena, consapevole, viste nel loro carattere d’immanenza.
“La Sibilla”, di Delfo, di Cuma, chiunque ella sia, è una donna, non un’entità astratta e soprannaturale con cui viene a coincidere per le sue capacità divinatorie, ma elevata per la sua grande importanza, che solo lei può avere, d’essere creatrice di vita, e quindi simbolo della rigenerazione.
Da questo viaggio, Dionisi, ne torna maturo, rinnovato nel corpo e nello spirito, più consapevole di una battaglia - quella agli inizi intrapresa - che forse non potrà vincere, intanto ciò che resta di quest’avventura introspettiva sono il ricordo dei rumori dell’infrangersi del mare, la spuma, gli odori che oggi sedimentano nella memoria per ciò che sono, senza allusioni o simbologismi, di sorta. Il furore che prima lo caratterizzava, ora si è placato, è più contenuto, anche se di fronte agli eventi, alla realtà, alle parole senza senso, di fronte al mistero oramai svelato, resta comunque nelle vesti di un bardato guerriero, di un “Galata” moderno. In questo viaggio, il lettore si è imbattuto in una serie di eventi che hanno parlato di arte, di poesia, di scultura, ovvero di intuizioni, di quelle capacità che ha il sentimento di coglierne, delle cose, l’essenza, lo spirito. E’ dunque, presupposto innegabile, un animo libero, ricettivo, ad assumerne lettura, a darne atto attraverso la materia alla quale darà forma, colore, ombra, al fine di materiarne l’idea della creazione. I diversi materiali come legno, spago, metalli e soprattutto pietra, hanno ricevuto quella forma, quella semantica, per precisa volontà di creazione, di comporre un’opera d’arte, “Kunstvollen” (volontà d’arte). E comunque cercassimo di renderne l’idea, è l’opera ad attrarci verso di lei, a comunicarci l’idea d’arte, perché la verità è nella forma, nel colore, ovvero, l’arte è nella capacità dell’artista di rendere viva l’immagine, la materia, nel trasmettere vita attraverso l’espressione di un’architettura, di una scultura, una poesia, tutti veicoli dell’intuizione. E’ quindi vero che un’opera compiuta è più viva dell’uomo stesso, più di mille uomini che la osservano ma che sono gia morti. Di fronte ad essa possiamo solo constatare la nostra fugacità, sentire la nostra caducità, giacché essa resisterà nel tempo, pensate alla Divina Commedia, a Dino Campana, a F. L. Wright, Michelangelo Buonarroti, opere e personaggi che continuano e continueranno a vivere, le stesse pagine che voi state leggendo, resteranno, dureranno più a lungo delle vite.
Quella di Dionisi è un’opera che nelle sue contenute dimensioni, rivela una dimensione spirituale assolutamente infinita. “Un pittore ci aveva promesso un quadro / ho saputo che è morto / Ho sentito / la tristezza di comprendere che siamo come un sogno / (solo gli dei posssono promettere, perché sono immortali) / Ho pensato a un luogo / che la tela non occuperà. Poi ho pensato: se stesse lì, sarebbe / una cosa, una delle vanità / della casa; ora è illimitata / capace di qualsiasi forma / Vivrà e crescerà come una musica e starà con me sino alla fine / (Anche gli uomini possono promettere, perché nella promessa è qualcosa d’immortale”.
La pietra può diventare arte, e “I’arte coincide con la vita”.
Vincenzo Russi,
russi@mailcity.com







Condividi




ENGLISH



copyright © Associazione Marmisti Regione Lombardia
info@assomarmistilombardia.it
riproduzione riservata senza specifica autorizzazione scritta
dal 2001 - tutti i diritti riservati
realizzazione ever